AGRICOLTURA E SEMPLIFICAZIONE DEL PAESAGGIO
A lungo l’Agricoltura è stata considerata come un semplice mezzo di produzione di beni alimentari, limitando l’attenzione di agronomi e agricoltori alla gestione del campo coltivato e non dell’agroecosistema.
Questo approccio riduttivo ha portato alla graduale scomparsa delle aree marginali sempre più considerate come entità separate, ostacoli alla produzione e alla meccanizzazione, fonti di inoculo di insetti dannosi e di erbe infestanti per le piante coltivate.
Semplificazione ecologica del campo coltivato ed intensificazione delle pratiche agricole (monocolture, eccessivo uso di prodotti chimici, purezza delle sementi) hanno provocato un progressivo degrado, frammentazione ed infine perdita di habitat, che a sua volta è sfociata in una diminuzione della diversità biologica.
Questo processo di semplificazione ha raggiunto una forma estrema nelle aziende ad indirizzo monocolturale (destinate alla coltivazione di un’unica specie vegetale). Il risultato finale è un ecosistema artificiale, l’agroecosistema, che richiede un costante intervento antropico e che si differenzia dagli ecosistemi naturali in quanto produttore di biomasse destinate prevalentemente ad un consumo esterno ad esso.
La dispersione naturale dei semi è sostituita dalla semina di poche specie selezionate dall’uomo; l’evoluzione e la selezione naturale dalla manipolazione e dal miglioramento genetico; il controllo naturale di insetti, funghi e batteri da insetticidi e anticrittogamici. La presenza di erbe spontanee è rigidamente contenuta per mezzo di erbicidi e pratiche agricole. La fertilità del suolo è mantenuta attraverso l’apporto di concimi piuttosto che privilegiare il riciclo degli elementi nutritivi.
Rispetto ad un ecosistema naturale, l’agroecosistema possiede una minore capacità di autoregolazione, detta omeostasi. Migliorare la Biodiversità funzionale negli agroecosistemi rappresenta, dunque, una chiave ecologica strategica per fornire sostenibilità alla produzione.
RECUPERARE LA BIODIVERSITA’ ALL’INTERNO DEL CAMPO COLTIVATO
In un paesaggio agricolo sempre più omogeneo (dominato da singoli raccolti annuali) e frammentato cresce dunque l’esigenza di creare corridoi ecologici per incrementare la connettività tra gli habitat e per non incorrere nell’isolamento delle specie.
Occorre ripristinare tutte quelle strutture che fino agli anni quaranta del secolo scorso disegnavano il paesaggio agrario, cercando il più possibile di mantenere una matrice strutturalmente simile alla vegetazione spontanea.
Negli ultimi anni sono state realizzate numerose ricerche per individuare strategie finalizzate alla tutela della biodiversità; tra tutte emerge proprio la gestione di questi ambienti semi-naturali associati ai bordi dei campi, ormai ampiamente conosciuti con il termine di “field margins”. Rappresentano micro-habitat seminaturali importanti per l’elevata potenzialità di promozione e sostegno alla biodiversità, soprattutto nelle aree agricole a coltivazione intensiva.
WILDFLOWERS STRIP
Con il termine inglese “wildflowers” oggi vengono indicate specie, soprattutto erbacee, di origine autoctona e di aspetto estetico interessante.
Le wildflowers strips, dunque, sono strisce di fiori spontanei larghe 2-5 metri che possono svilupparsi sia lungo il margine di un campo arato che all’interno dello stesso. Rappresentano una sorta di set-aside che, se inserito a mosaico nell’agroecosistema, può incrementare la connettività tra gli habitat evitando l’isolamento delle specie.
Nell’allestire una wildflowers strip possono essere adottate strategie passive o attive; nel primo caso la flora al suo interno viene lasciata rigenerare spontaneamente, nel secondo caso si seminano mix di specie a composizione ben determinata, ripetendo l’operazione annualmente a rotazione nelle varie porzioni della striscia.
L’impianto di queste fasce presuppone la scelta delle specie più adatte in funzione della loro rusticità (dovendo inserirle in ambienti ostili come i bordi campo), della loro attitudine a promuovere la biodiversità, dunque della capacità di fornire cibo e rifugio per gli impollinatori e per altri organismi associati ai campi coltivati.
Promuovere il loro impiego all’interno dell’agroecosistema, in zone appositamente adibite e gestite come i field margins, rappresenta quindi un’opportunità per contrastare l’erosione della biodiversità vegetale e tutelare quella faunistica, costituendo fonte di polline, di nettare e di rifugio importanti soprattutto quando le risorse scarseggiano.
Ovviamente queste strategie non possono prescindere dalla necessità di adottare un metodo di produzione ecologicamente più sostenibile, quale ad esempio quello biologico.
L’AGRICOLTURA BIOLOGICA
GLI ANNI DELLA CONSAPEVOLEZZA
Negli anni ’80, la preoccupazione pubblica per la perdita di specie e la presa di coscienza dell’impatto ambientale di queste pratiche agricole intensive si sono concretizzate in un nuovo approccio all’agricoltura, ecologicamente ed economicamente più sostenibile.
E’ in questo contesto che in numerosi Paesi europei sono stati introdotti schemi agro-ambientali per la risoluzione di problemi quali la riduzione dell’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, la protezione della biodiversità, il ripristino del paesaggio e la prevenzione dell’esodo rurale.
In particolare, il 1992 è stato l’anno della svolta nella coscienza collettiva e politica rispetto all’importanza che i temi ambientali rivestono per l’economia di ogni Paese, oltre che per il nostro benessere.
E’ l’anno in cui, non a caso, si è tenuta a Rio de Janeiro la “Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo”, conosciuta anche come Summit della Terra o Eco92. È stata la prima conferenza mondiale dei capi di Stato a riconoscere al clima lo status giuridico di “bene comune”.
Ed è proprio in questi anni che matura la decisione dell’UE di istituzionalizzare il metodo di produzione biologico – con l’emanazione del Regolamento n. 2092/91, successivamente abrogato e sostituito dal Regolamento 834/2007, a sua volta abrogato e sostituito oggi dal Regolamento (UE) 2018/848 del Parlamento europeo e del Consiglio.
AGRICOLTURA BIOLOGICA IN BREVE
L’agricoltura biologica:
- si fonda su obiettivi, principi e pratiche comuni finalizzate a minimizzare l’impatto umano nell’ambiente e allo stesso tempo a permettere al sistema agricolo di operare nel modo più naturale possibile;
- consente di mantenere un alto livello di diversità biologica all’interno del campo coltivato;
contribuisce alla conservazione delle specie e degli habitat naturali; - rappresenta un sistema di gestione sostenibile per l’agricoltura, più rispettoso per l’ambiente;
- assicura un impiego responsabile dell’energia e delle risorse naturali come l’acqua, il suolo, la materia organica e l’aria;
- consente di ottenere prodotti di alta qualità (privi di pesticidi e insetticidi) in grado di rispondere in modo adeguato alla domanda di consumatori più sensibili alle tematiche ambientali.
In conclusione, un sistema equo e sostenibile come quello dell’agricoltura biologica è in grado di preservare l’ambiente e le risorse che da questo derivano. L’agricoltura biologica rappresenta dunque una scelta etica e green; una scelta responsabile che consente di soddisfare le esigenze produttive senza impattare sull’ambiente e senza aggravare ulteriormente i problemi del riscaldamento globale e della crisi climatica.
- IL GIACINTO - Marzo 20, 2023
- L’IMPOLLINAZIONE - Marzo 14, 2023
- I BIOCARBURANTI - Marzo 3, 2023