INTRODUZIONE

Il narciso appartiene al genere Narcissus della famiglia delle Amaryllidaceae. È una pianta originaria dell’area mediterranea, ma ha conosciuto un’ampia diffusione anche nel Nord Europa, nei Balcani e fino in Medio Oriente grazie alla sua elevata rusticità. Si presume che il suo nome derivi dal greco narkao (stordire), per via del suo profumo, inebriante come un narcotico.

Coltivato ormai da tempo come pianta ornamentale, mediante procedimenti di ibridazione e selezione sono stati ottenuti numerosissimi ceppi con ampie differenze morfologiche. Il sorprendente numero di ibridi registrati (oltre 35000) testimonia la grande passione per questo fiore.

In Italia 5 sono le specie spontanee, di cui tre le più diffuse: il Narciso nostrale (Narcissus tazetta), il Narciso trombone (Narcissus pseudonarcissus) e il Narciso selvatico (Narcissus poeticus).

DESCRIZIONE IN BREVE

Si tratta di una pianta erbacea perenne che forma cespi, generalmente folti, con fusto eretto e cilindrico. Il fiore, solitamente giallo o bianco, è caratterizzato da un sola infiorescenza isolata, circondata da una paracorolla. Le foglie sono lunghe, piatte, nastriformi ma carnose, di color verde chiaro. Avvolgono il fusto eretto (scapo) che può raggiungere anche i 50 cm di altezza.

È tra i primi fiori da bulbo ad annunciare la primavera e presenta una fioritura abbondante. Affinché la fioritura sia sempre rigogliosa, è importante curare la parte aerea della pianta anche durante lo stadio vegetativo. Utilizzando varietà diverse, con differenti esigenze termiche, è possibile prolungare senza alcun problema la fioritura da fine febbraio, con le specie precoci, a metà maggio, con le specie tardive.

Il Narciso, infatti, è un fiore che resiste bene alle basse temperature e, come anticipato, è poco esigente (rustico), motivo per cui non di rado è utilizzato per abbellire balconi e terrazzi. Richiede poca acqua, si riproduce da solo e si ammala molto difficilmente. Coltivarlo è semplice anche per chi non ha il pollice verde.

Per fare in modo che i bulbi si conservino fino alla successiva fioritura, non bisogna mai recidere le foglie. Questo consente alla pianta di completare il ciclo vitale e di incamerare tutte le sostanze necessarie per rifiorire la primavera successiva.

Importante tenere a mente che foglie e bulbi contengono un alcaloide molto tossico, la narcisina, dunque possono essere pericolosi per gli animali e rivelarsi letali per l’uomo. L’ingestione accidentale può condurre alla morte in sole 24 ore.

COLTIVAZIONE DEL NARCISO

Il Narciso può essere coltivato in qualsiasi terreno con ridotto contenuto di carbonio (evitare i terreni torbosi), preferibilmente soffice, profondo e ben concimato. Durante la fioritura e nel periodo immediatamente successivo è indicato l’utilizzo di fertilizzanti ricchi in fosforo e potassio, ma poveri in azoto.

Si consiglia di annaffiare frequentemente la pianta, in particolare in caso di prolungata siccità in primavera e prima dell’ingiallimento delle foglie. Solitamente non è necessario annaffiare in autunno e inverno.

La moltiplicazione avviene mediante il trapianto dei bulbi nei mesi di settembre-ottobre (solitamente in serra), in modo da ottenere specie geneticamente identiche alla pianta originaria. Ogni 3-4 anni, con la fine dell’estate, i bulbi vengono estirpati e separati i bulbilli; questa operazione si rende necessaria per ottenere il materiale di propagazione vegetativa utile al reimpianto successivo.

IL NARCISO TRA MITO E LEGGENDA: IL MITO DI ECO E NARCISO

Esistono varie versioni del mito di Eco e Narciso giunte fino ai giorni nostri. La prima fonte in assoluto sarebbe quella proveniente dai papiri di Ossirinco, forse opera dello scrittore Partenio. Tra le tante versioni, tuttavia, due sono le più accreditate: quella di Ovidio, raccolta all’interno delle Metamorfosi, e quella dello scrittore e geografo greco Pausania, all’interno dell’opera “Periegesi della Grecia”.

La storia, tuttavia, presenta degli aspetti comuni in tutte le versioni. In particolare, Narciso è figlio di Cefiso, una divinità fluviale, e di Liriope, una ninfa abitante i corsi d’acqua (Naiade). Si racconta che la madre, preoccupata per il futuro di Narciso, si fosse recata dall’indovino Tiresia il quale predisse che, il piccolo, avrebbe raggiunto la tarda età solo se non avesse mai visto il suo volto.

IL MITO DI ECO E NARCISO: LA VERSIONE DI OVIDIO

LA STORIA DI ECO

La ninfa Eco abitava tra le selve montane; era così loquace che non di rado gli dei dell’Olimpo la mandavano a chiamare per scacciare la noia facendosi intrattenere con i suoi racconti. Molto spesso Giove ne approfittava per distrarre Giunone, sua moglie, mentre lui si dedicava qualche scappatella sulla Terra. Un giorno però Giunone, comprendendo quello che stava accadendo, si adirò a tal punto che decise di infliggere ad Eco un severo castigo. Da quel giorno non avrebbe mai più potuto parlare come prima, ma sarebbe stata costretta a ripetere solo l’ultima sillaba dell’ultima parola di colui che l’avesse interpellata. Il castigo fu veramente duro e la sofferenza aumentò quando la fanciulla s’innamorò di Narciso.

ECO E NARCISO

Quando raggiunse il sedicesimo anno di età, Narciso divenne un bellissimo giovane, ignaro della propria bellezza, poiché nei boschi, dove viveva cacciando, non c’erano specchi in cui potersi mirare. Ogni abitante della città, uomo o donna, giovane o vecchio, si innamorava di lui. Egli, tuttavia, respingeva tutti, forse per orgoglio, per crudeltà o per una forte personalità.

Un giorno, mentre era a caccia di cervi, la ninfa Eco seguì furtivamente il bel giovane tra i boschi. Desiderava rivolgergli la parola, ma era incapace di parlare per prima, perché costretta a ripetere sempre le ultime parole di ciò che le veniva detto. Quando sentì dei passi, Narciso gridò: “Chi è là?”. Eco rispose: “Chi è là?” e così continuò, finché non si mostrò correndo verso il bel giovane. Narciso, però, la allontanò immediatamente e in malo modo. Eco, con il cuore infranto, trascorse da sola il resto della sua vita, gemendo per il suo amore non corrisposto. La bellezza lentamente sfiorì dal suo viso e la fanciulla si consumò finché di lei non rimasero solo le ossa e un filo di voce.

L’indifferenza di Narciso verso l’infelice Eco, che per lui era morta d’amore, suscitò l’indignazione degli dei, e soprattutto di Nemesi, la dea della vendetta, che decise di punirlo. Discese dall’Olimpo e, assunto l’aspetto di un cacciatore, si avvicinò al giovane proponendogli di condurlo in un luogo ricco di selvaggina. Narciso acconsentì, ed insieme al cacciatore giunse in un luogo mai visto prima: una bellissima radura circondata da alti alberi, e con al centro una fonte dalle acque chiare.

Nemesi lo condusse presso l’orlo della fonte e lo invitò a piegarsi sullo specchio d’acqua. Narciso vide allora la cosa più bella del creato: se stesso. Incapace di staccarsi dalla visione della propria immagine, comprese che non avrebbe mai potuto vivere un amore corrisposto. Si lasciò morire, portando così a compimento la profezia di Tiresia e la vendetta di Nemesi.

Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, al suo posto trovarono un fiore, pallido e delicato, al quale fu dato il nome di narciso. Questo fiore, difatti, nasce spontaneamente lungo i fossi e gli specchi d’acqua, nei quali per l’appunto sembra contemplare la sua immagine riflessa.

Si narra infine che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell’Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso, invano.


IL MITO DI ECO E NARCISO: LA VERSIONE DI PAUSANIA

Pausania, trovando poco credibile quanto descritto dal poeta vissuto 150 anni prima di lui, Ovidio, diede più credito ad una differente versione del mito. Secondo la versione da lui avvalorata, Narciso aveva una sorella gemella, con la quale andava spesso a caccia. Il giovane se ne innamorò e, quando la fanciulla morì prematuramente, continuò ad andare alla fonte dove andavano un tempo insieme. Vedendo la propria immagine riflessa nello specchio e somigliando quel viso tanto alla sorella amata, infatti, gli sembrava di vederla e questo gli era di grande conforto.

IL SIGNIFICATO DEL MITO DI ECO E NARCISO

Il mito di Eco e Narciso rappresenta il tema dell’amore non corrisposto. In entrambe le versioni sopra descritte vi è la ricerca dell’amore; mentre in quella di Ovidio l’amore rimane imprigionato nella ricerca della propria immagine (non passa da un soggetto ad un altro), in quella di Pausania la ricerca dell’amore diventa movimento verso un altro, in particolare il protagonista è ipnotizzato dall’amore perduto verso la sorella.

NARCISO NELLA CULTURA

A qualunque versione ci si riferisca, il mito di Narciso ha affascinato centinaia di generazioni di tutte le epoche storiche; dalla pittura alla letteratura, dalla musica alla cinematografia. Da non trascurare è anche il campo della psicologia: nel 1914, infatti, Sigmund Freud pubblica il saggio “Introduzione al narcisismo”, nel quale amplia il significato del termine, introducendo i concetti di narcisismo primario e di narcisismo secondario o protratto.

Attualmente col termine disturbo narcisistico di personalità, si indica l’amore, spesso esagerato, che una persona prova per la propria immagine e per se stesso.

Le parole “narcisismo” e “narcisista” sono ormai entrate nel nostro vocabolario comune proprio per indicare una persona che prova troppo amore per se stesso. Questo ci aiuta a comprendere quanto i miti greci siano ormai parte del nostro patrimonio culturale e quanto abbiano influenzato la nostra civiltà fin dalle origini.

SIGNIFICATO PSICOLOGICO DEL MITO DI ECO E NARCISO

La leggenda di Narciso ed Eco è la storia di due opposti. Il giovane è incapace di guardare oltre sé stesso, mentre la ninfa, è incapace di concentrarsi su di sé. Due comportamenti, quindi, ugualmente dannosi e non equilibrati.

In psicologia esiste sia un narcisismo sano, riconducibile ad un sano amor proprio verso sé stessi, sia un narcisismo patologico. Quest’ultimo è causato da un disturbo del senso del sé che si origina nel mondo infantile, tramite quella che è definita ferita narcisistica, generata ed associata ad un senso di vergogna.

Tendenzialmente il futuro narcisista è un bambino la cui infanzia si caratterizza da una famiglia che ignora, umilia o reprime i suoi interessi. Da qui la brama di riconoscimento, lodi e l’assenza di empatia. Narciso ed Eco sono, quindi, due facce della stessa medaglia: il surplus d’amore per sé stesso, l’assenza di amore per sé stessi o per l’altro induce a forme estreme, narcisistiche, di visioni realistiche della realtà.

Solo quando esiste un amore sano verso sé stessi non si sconfina in alterazioni del reale, in eccesso o in difetto.

Giulia Basteri
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